Nutrizione di soccorso per l’alveare (guida completa per apicoltori)

di Giorgio Pagnacco

Introduzione

La nutrizione di soccorso è una pratica fondamentale per gli apicoltori: si somministra zucchero in forma liquida (sciroppo) o solida (candito/panetti proteici) per supportare la colonia quando le scorte scarseggiano, per stimolare la ripresa primaverile o per compensare una carenza proteica. Questo articolo offre una panoramica pratica, con indicazioni su quando intervenire, vantaggi e svantaggi delle diverse forme di nutrizione, ricette casalinghe, modalità di somministrazione e suggerimenti stagionali, adattati sia per la zona costiera sia per l’entroterra/zone montane.


Quando e perché intervenire

Motivi comuni per nutrire le api:

  • Scarso raccolto nettarifero (siccità, meteo sfavorevole).
  • Fine stagione: rinforzare le scorte prima dell’inverno o per colonie deboli.
  • Emergenza invernale: esaurimento delle scorte.
  • Stimolo primaverile: favorire ripresa della covata.
  • Carenza proteica: ripristinare deposizione di covata.
  • Recupero post-raccolto: dopo asportazione di miele o trattamenti.

Regola pratica: nutrire solo se le scorte visibili sono chiaramente ridotte o se le previsioni climatiche suggeriscono periodi di scarsità.
Se possibile, preferire sempre l’uso del miele prodotto dai propri alveari come nutrizione di soccorso: è più completo e sicuro per la colonia. Riguardo al beneficio di nutrire con il miele delle proprie api rimando all’articolo “Nutrizione delle api


Sciroppo vs candito — confronto pratico

Sciroppo (liquido)

Vantaggi:

  • Facile e rapido da preparare.
  • Stimola crescita della covata (ottimo in primavera).
  • Può essere somministrato con vari distributori (superiore, a bottiglia, a telaio).

Svantaggi / rischi:

  • Può fermentare se non concentrato correttamente.
  • Maggior rischio di saccheggio in periodi di scarsità.
  • Difficile da somministrare in pieno inverno (le api hanno difficoltà a gestire liquidi freddi).
  • Richiede igiene e pulizia costante del distributore.
  • Non equivalente al miele dal punto di vista nutrizionale.

Rapporti consigliati:

  • 1:1 (zucchero:acqua) – stimolante, primaverile. per sviluppo.
  • 2:1 (zucchero:acqua) – sciroppo più denso, indicato per accumulo autunnale (meno acqua da evaporare).

Candito / fondant (solido)

Vantaggi:

  • Non fermenta, ideale per inverno.
  • Minor rischio di saccheggio.
  • Le api possono consumarlo anche a basse temperature.
  • Facile da posizionare direttamente sul nido.

Svantaggi:

  • Più laborioso da preparare o più costoso se acquistato.
  • Se troppo umido può ammuffire o fermentare; se troppo asciutto può essere poco appetibile. Richiede utilizzo di acqua da parte delle api per trasformarlo.
  • Alcuni tipi preparati in commercio contengono additivi o scarsa qualità degli ingredienti.
  • Non equivalente al miele dal punto di vista nutrizionale.

Candito proteico

Aggiunge polline o farine proteiche per stimolare covata e sviluppo della colonia.

Vantaggi:

  • Fornisce aminoacidi e stimolo proteico nei periodi di carenza di polline.
  • Utile in fine inverno / inizio primavera quando le fonti naturali scarseggiano.

Limiti:

  • La qualità della proteina è fondamentale.
  • Non sostituisce polline fresco.
  • Eccesso o ingredienti di bassa qualità possono fermentare o ridurre appetibilità.

Conclusione: utile solo se ben bilanciato e somministrato al momento giusto, non è una panacea.


Materie prime

  • Miele dei propri alveari: migliore nutrizione, enzimi e micronutrienti, prima scelta.
  • Candito commerciale: comodo, ma controllare ingredienti (assenza di sciroppi industriali, qualità zucchero).
  • Zucchero a velo puro (senza amido): ideale per autoproduzione candito.

Ricette pratiche

Sciroppo 1:1

  • 1 kg zucchero + 1 L acqua fredda o max 40°
  • Per evitare la formazione di idrossimetilfurfurale (HMF) nello sciroppo, è consigliabile mantenere la temperatura sotto i 40°C
  • Portare a temperatura ambiente prima della somministrazione.

Sciroppo 2:1

  • 2 kg zucchero + 1 L acqua tiepida max 40°.
  • Portare a temperatura ambiente prima di somministrare.
  • Per evitare la formazione di idrossimetilfurfurale (HMF) nello sciroppo, è consigliabile mantenere la temperatura sotto i 40°C

Candito freddo

  • 1 kg zucchero a velo + 80–150 g miele o sciroppo invertito.
  • Impastare fino a ottenere pasta plastica modellabile.
  • Variante proteica: aggiungere 20–40% polline o sostituto proteico.

Somministrazione

Sciroppo

  • Distributori superiori baravalle, a bottiglia, a telaio.
  • Somministrare la sera o con bassa attività esterna.
  • Evitare in pieno inverno con temperature basse.

Candito

  • Posizionare sopra i telai, vicino alla covata.
  • Panetti proteici possono essere posti su griglie o supporti sopra le api.

Nota importante: Durante i periodi d’importazione nettarifera e in previsione di produzione di miele da commercializzare a scopo alimentare, onde evitare che le api portino zuccheri nel melario, sospendere la nutrizione di soccorso almeno due settimane prima del posizionamento dei melari!  La presenza di zuccheri (sciroppi/candito) nel miele costituisce frode alimentare perché altera la composizione del prodotto naturale! L’eventuale nutrizione di soccorso può riprendere solo dopo aver rimosso i melari. Normativa: La legislazione europea vieta l’aggiunta di qualsiasi sostanza estranea al miele, che deve essere puro e non alterato.


Consumo e quantità

  • Piccole quantità ripetute: 0,5–1 L sciroppo o 0,5–2 kg candito a seconda della forza della colonia.
  • Patties proteici 100–300 g, 1–2 volte a settimana nelle fasi critiche.

Autoproduzione candito

Pro: risparmio, controllo qualità, possibilità di bilanciare proteine.
Contro: rischio igienico, fermentazioni, tempo di lavoro.


Buone pratiche

  • Ingredienti certificati e di qualità.
  • Pulizia distributori.
  • Controllo di robbing (saccheggi), muffe o fermentazioni.
  • Monitoraggio costante delle scorte e della covata.

Differenze stagionali: costa vs entroterra/zone montane

Costa (clima mite)

  • Possibile assenza di blocco di covata in inverno.
  • Regina depone continuamente → consumo energetico elevato.
  • Api attive, uscita frequente → scorte maggiori necessarie.
  • Fioriture principali: nocciolo → erica → tarassaco →fruttiferi e rosmarino → acacia → castagno → lavanda → melata → edera → corbezzolo.

Entroterra / zone montane

  • Clima più freddo → blocco di covata in inverno (anche se negli ultimi anni gli inverni si sono ridotti considerevolmente le regine riescono ad andare in blocco di covata), le api formano il glomere e uscendo meno (solo per voli purificatori) consumano meno.
  • Fioriture posticipate almeno 20–30 giorni rispetto alla costa.
  • Fioriture principali: nocciolo → tarassaco → fruttiferi → rosmarino → acacia -a proposito di quest’ultima va detto che negli ultimi anni si è assistito ad un cambiamento climatico con inverni meno rigidi e con gelate primaverili tardive che hanno messo a rischio a volte anche azzerando o limitando molto la fioritura dei fiori di Acacia (Robinia Pseudoacacia) – → castagno → erba medica → lavanda → melata → edera

Conclusioni pratiche

  1. Preferire miele proprio se disponibile.
  2. Sciroppo 1:1 per stimolo primaverile, 2:1 per accumulo autunnale.
  3. Candito stabile in inverno; proteico utile solo nelle condizioni giuste.
  4. Autoproduzione possibile con cura igienica.
  5. Monitoraggio costante di consumo, comportamento, covata.
  6. Sospendere nutrizione prima dell’importazione di miele per non alterare flussi naturali e qualità del prodotto.

Se vuoi fare una domanda al tecnico usa il form qui sotto.

L’alza melari, strumento utile per l’attività in apiario.

di Mauro Puppo

Che cos’è l’alza-melari? E’ uno strumento che ci permette di alzare il o i melari posti sopra l’arnia per
inserire eventuali escludiregina, apiscampo o semplicemente per verificare il nido, con minimo sforzo senza dover spostare manualmente i melari.
In commercio si possono trovare parecchie versioni, ma visto i costi proviamo a costruirne uno.
Materiale occorrente: scatolato di ferro( di riciclo) con misure minime di 20 x 20 o massimo 30 x 30 altrimenti risulta troppo pesante; due avvolgicavo , possono andare bene anche due carrucole opportunamente modificate; un tondino di ferro ( può andare bene anche una barra filettata) di diametro 10 o 12 mm a seconda dello scatolato usato; due cavetti di acciaio tipo freni da bici; una maniglia; una ruota dentata che servirà come fermo per le carrucole.
L’altezza della struttura non deve essere inferiore a 130 cm, la larghezza di 55 cm, per la base ( dovendo appoggiare sui sostegni delle arnie) la misura ottimale è di 65 cm; quattro barrette di ferro ( la misura deve permettere di incastrarsi nelle scanalature per le mani dei melari e nel contempo toglierle agevolmente) opportunamente sagomate oppure quattro semi cerniere, queste dovranno essere fissate a due pezzi di scatolato con misura superiore a quelli verticali in modo da poter scorrere e permettere il sollevamento.
I cavetti di acciaio saranno fissati sulle carrucole e su queste “ cerniere”.
Se siamo buoni saldatori non c’è problema altrimenti dobbiamo chiedere aiuto ad un amico in grado di
saldare i pezzi oppure ad un fabbro.
Assembliamo il tutto come evidenziato nelle foto, naturalmente se vogliamo rendere la struttura smontabile i laterali dovranno avere una misura inferiore alla base in modo da potersi incastrare agevolmente.
Buon lavoro a tutti!

per info contattare direttamente l’autore: mauro@apilandia.it

La cristallizzazione del miele

di Mauro Puppo

La cristallizzazione, assieme al colore, è una delle caratteristiche maggiormente visibile nel miele, questo condiziona, anche se in maniera sempre minore, molti consumatori ed il mercato del miele.
Tutti i mieli sono più o meno destinati a cristallizzare (eccetto acacia, castagno e melata, se in purezza). Una cristallizzazione dunque naturale che se non accompagnata da difetti del miele, quali separazione fra stato liquido e solido, che alcune volte si vede sugli scaffali dei supermercati, fermentazione o presenza di impurità, è la prova della sua genuinità, naturalezza e autenticità e dell’assenza di trattamenti volti a riportare il miele allo stato liquido.

Il processo di cristallizzazione
Quasi tutti i mieli sono liquidi al momento dell’estrazione, fatta eccezione per alcuni mieli, per esempio l’edera, che inizia a cristallizzare già sui favi e risulta di difficile estrazione, dunque liquido che poi, nella maggior parte dei casi, in un tempo variabile da poche settimane ad alcuni mesi, va incontro al processo naturale della cristallizzazione.
Un processo che non comporta variazioni nel prodotto se non nell’ aspetto, che si sviluppa in modo variabile a seconda della composizione, e quindi dell’origine botanica, della temperatura di conservazione e di altri fattori di tipo meccanico e fisico.
Una volta cristallizzato il miele si presenta con caratteristiche diverse a seconda di come si sono combinati tali fattori. Esistono per questo mieli con aspetto più o meno omogeneo, a cristalli grossolani o finissimi, a consistenza compatta o cremosa.
Queste diversità possono segnalare l’origine e la storia del prodotto, ma non possono, data la complessità del fenomeno, essere prese come riferimento assoluto per identificare la genuinità o meno del miele.

Perché il miele cristallizza?
Quali sono i fattori che innescano il processo di cristallizzazione?
Primo fra tutti il rapporto tra glucosio e fruttosio.

Regola fondamentale: maggiore il contenuto di glucosio, maggiore la tendenza a cristallizzare.

Come sappiamo il miele ricavato dal nettare dei fiori è costituito da circa un 18% di acqua in cui sono disciolti il 70% circa di zuccheri monosaccaridi (fruttosio e glucosio) in percentuali variabili.
Il miele è quindi una soluzione sovrassatura di zuccheri, ossia una soluzione in cui la concentrazione del soluto (zuccheri) supera quella che il solvente (acqua) può contenere alle condizioni di equilibrio e che come tale è instabile e tende con il tempo a raggiungere la stabilità liberando il soluto in eccesso sotto forma di cristalli. Essendo il glucosio meno solubile in acqua del fruttosio è quindi lo zucchero maggiormente interessato al processo di cristallizzazione.
Mentre il contenuto di glucosio influenza la tendenza a cristallizzare, il rapporto fra fruttosio e glucosio influenza la velocità di cristallizzazione.
Se il fruttosio predomina sul glucosio il miele tenderà a rallentare il processo di cristallizzazione restando a liquido più a lungo.
Mieli con elevate percentuali di fruttosio cristallizzano lentamente o non cristallizzano affatto come ad esempio accade per il miele di Robinia (Acacia) o di castagno. Al contrario, mieli nei quali la percentuale di glucosio è più alta, quali agrumi, tarassaco, girasole, erica e millefiori, avranno rapidi fenomeni di cristallizzazione.
Altro fattore influenzante è il contenuto di acqua, un miele in condizioni ottimali dovrebbe avere un umidità compresa tra 17-19%, umidità inferiori portano alla cristallizzazione in combinazione con temperature attorno ai 14° C, umidità superiori ad una possibile fermentazione.
Altro fattore importante è la temperatura: a 14 gradi la formazione dei cristalli è massima, sopra a 25 e sotto a 5 gradi è inibita.

Non è quindi da trascurare l’influenza fondamentale che la temperatura ha sulla cristallizzazione. La cristallizzazione può avvenire a temperature comprese fra i 5 ed i 25 °C con un massimo di velocità attorno ai 14 °C. Le basse temperature ostacolano la cristallizzazione perché aumentano la viscosità del miele, rendono più difficili i movimenti all’interno della massa e rallentano i processi chimici di accrescimento dei cristalli.
Dunque, uno stesso miele, conservato a temperature diverse può avere una cristallizzazione diversa.
Temperature troppo elevate invece rallentano il processo in quanto vengono distrutti i cristalli. Tale distruzione è completa alla temperatura di 78 °C, ma già ad una temperatura superiore ai 45° C perderà anche preziosi micronutrienti (maggiori perdite si avranno per temperature più alte e maggiori tempi di riscaldamento).
Altri fattori che favoriscono la cristallizzazione sono l’agitazione del miele e il contenuto di particelle solide in sospensione.

Nella tabella sottostante alcuni tipi di cristallizzazione dei comuni mieli:

Metodi per mantenere liquido il miele.
Come abbiamo detto la cristallizzazione non è un fenomeno negativo ma rappresenta una evoluzione naturale di quasi tutti i mieli.
Ma allora perché il miele che troviamo in commercio è quasi sempre liquido?
La risposta a questa domanda è molto semplice: perché siamo noi consumatori a chiederlo…
Di conseguenza alcuni produttori al solo scopo di “accontentare” il consumatore sostengono che il miele sia sempre liquido, un po’ come lo “accontentano” proponendo prodotti fuori stagione, quali la frutta e le verdure. Ricorrono quindi a processi industriali per mantenere il prodotto in tale stato.
Per mantenere il miele allo stato liquido si può agire in tre modi, che contrastano comunque con la filosofia del prodotto naturale.

Fusione a 40-50 gradi prima della vendita: di solito avviene direttamente nel miele confezionato, consente di mantenere il miele liquido più o meno a lungo a seconda della quantità di glucosio e di acqua del miele stesso.
Pastorizzazione: il miele viene portato a 78 gradi per 5-7 minuti, in questo modo si sciolgono anche le particelle più piccole di glucosio e il miele rimane liquido per lunghissimo tempo.
Filtrazione spinta: conferisce al miele una maggior limpidezza ed elimina le micro particelle che potrebbero innescare la formazione dei cristalli. Tale modalità viene abitualmente utilizzata negli Stati Uniti mentre in Europa era vietata fino all’uscita della direttiva 2001/110/CE. Ora è consentita anche se va chiaramente riportato in etichetta l’utilizzo di questa tecnologia. Tale processo permette anche di omogeneizzare il miele, i cristalli grossi, vengono rotti per azione meccanica e il miele diventa più cremoso.
Fusione e pastorizzazione non hanno alcuno scopo igienico-sanitario e danneggiano irreparabilmente il prodotto, distruggendone la carica enzimatica e vitaminica a discapito della naturalezza e della qualità del prodotto.

Miele liquido e miele cristallizzato.

Che differenze ci sono? Meglio il miele liquido o quello cristallizzato?
La scelta tra liquido e cristallizzato è una questione di preferenze personali; se però si vogliono privilegiare i prodotti più integri bisogna considerare che ogni riscaldamento subito è un danno per la qualità del prodotto.
Per la loro composizione come detto, solo i mieli di acacia, castagno e di miele di bosco o abete (melate) rimangono sempre liquidi, mentre con il passare del tempo, invece, tutti gli altri tipi di miele tendono a cristallizzare.

Consigli: cosa fare quando il miele si presenta cristallizzato?
Il primo consiglio che possiamo darvi è quello di consumarlo così ma se vogliamo per forza renderlo liquido è di “non cuocere il miele”.
Si può certamente riscaldarlo, anche a bagno maria, non superando i 35/40 gradi per alcuni minuti o più semplicemente tenendolo per qualche minuto fra le mani e rimescolandolo con un cucchiaio, o ponendolo per pochi minuti a contatto con una fonte di calore come un termosifone o vicino un camino.
In alternativa basta metterlo in freezer quando è ancora liquido, per bloccare la precipitazione dei cristalli.  

Conclusioni:
Miele liquido o cristallizzato?
Possiamo solo dire che la cristallizzazione è un processo naturale che non comporta assolutamente variazioni organolettiche del prodotto ma solo di aspetto, che ne garantisce la qualità, la genuinità e l’assoluta naturalezza, come garanzia di un prodotto non pastorizzato, sano come in natura si forma.
Impariamo a consumarlo cosi com’è.
Pensiamo anche al lato positivo del miele cristallizzato: il miele non cola e potete usarlo con più facilità.
Se un miele è di qualità non c’è differenza tra un miele liquido o un miele cristallizzato se non nell’aspetto. Sono entrambi ottimi.
Per concludere speriamo che queste poche righe relative alla cristallizzazione del miele possano essere state di aiuto nella scelta del miele durante il prossimo acquisto.

Arnia a Favo Caldo o a Favo Freddo? Guida completa alla scelta

di Giorgio Pagnacco

Arnia a Favo Caldo o a Favo Freddo?

Quando si parla di apicoltura, uno dei temi più discussi riguarda la disposizione dei favi all’interno dell’arnia: meglio il favo caldo o il favo freddo? La differenza può sembrare puramente geometrica, ma in realtà ha conseguenze importanti sul microclima interno, sull’organizzazione delle api e sul lavoro dell’apicoltore. In questo articolo analizziamo vantaggi, svantaggi e persino la possibilità di un sistema ibrido.


Cosa significa “favo caldo” e “favo freddo”?

  • Favo caldo: i telaini sono disposti parallelamente all’ingresso dell’arnia. Le api entrano dal lato lungo e accedono direttamente ai favi.
  • Favo freddo: i telaini sono disposti perpendicolarmente all’ingresso. Le api entrano dal lato corto e si muovono lungo i favi.

Questa semplice differenza influenza il flusso d’aria, la propolizzazione, la gestione della covata e l’interazione con l’apicoltore.

L'immagine attuale non ha un testo alternativo. Il nome del file è: Arnia-favo-caldo-freddo.png

Arnia a favo caldo: vantaggi e svantaggi

Vantaggi

  • Facilità di ispezione: l’apicoltore accede ai telaini senza disturbare tutta la colonia.
  • Protezione dal freddo: il flusso d’aria è ridotto, le correnti fredde entrano con più difficoltà.
  • Isolamento naturale: le api sigillano meglio eventuali fessure con la propoli, migliorando l’isolamento.

Svantaggi

  • Ventilazione ridotta: in estate aumenta il rischio di surriscaldamento e umidità.
  • Maggior consumo energetico: le api devono lavorare di più per regolare il microclima.
  • Minor adattabilità ai climi caldi: soffre in zone con estati molto torride.

Arnia a favo freddo: vantaggi e svantaggi

Vantaggi

  • Migliore ventilazione naturale: favorisce il ricambio d’aria e riduce l’umidità.
  • Ottima nei climi caldi: le api gestiscono meglio il raffrescamento estivo.
  • Distribuzione più uniforme: miele e covata seguono meglio il flusso d’aria naturale.

Svantaggi

  • Maggiore esposizione al freddo: in inverno le correnti penetrano più facilmente lungo i favi.
  • Ispezioni più invasive: per raggiungere i telaini centrali bisogna spostare i primi, disturbando la colonia.
  • Accumulo di propoli: le api possono sigillare eccessivamente, rendendo più difficile il lavoro.

Quando preferire una o l’altra configurazione?

  • Favo caldo: se vivi in aree con inverni rigidi o ventosi, se cerchi ispezioni rapide e poco invasive, se la protezione dal freddo è una priorità.
  • Favo freddo: se operi in zone calde e umide, se vuoi favorire la ventilazione naturale, se l’estate è il periodo più critico da gestire.

Il sistema ibrido: una soluzione possibile?

Alcuni apicoltori si chiedono: perché non usare il favo caldo in inverno e il favo freddo in estate?
Un sistema ibrido è teoricamente possibile, ma comporta sfide pratiche:

  • Vantaggi: sfrutta i punti di forza stagionali, ottimizzando isolamento in inverno e ventilazione in estate.
  • Svantaggi: disturbare la colonia con spostamenti stagionali dei telaini può disorientare le api e aumentare lo stress. Inoltre, la propolizzazione verrebbe rifatta ogni volta, con spreco di risorse.

Alcune soluzioni pratiche includono arnie modulari che permettono di ruotare il corpo senza spostare i telaini, oppure piccoli adattamenti stagionali (pannelli isolanti in inverno, aperture supplementari in estate).


Conclusione

Non esiste una scelta universalmente giusta tra favo caldo e favo freddo: la decisione dipende dal clima della tua zona, dalle caratteristiche della colonia e dal tuo stile di gestione.
Il vero segreto è conoscere bene i pro e i contro di entrambe le configurazioni e adattare l’arnia al contesto, con l’obiettivo sempre prioritario del benessere delle api.

La Produzione del Miele

LA SMIELATURA (parte 3)

di Mauro Puppo

“Filtraggio del miele destinato al maturatore”

Video del filtraggio del miele che dopo essere estratto per centrifugazione viene raccolto nel maturatore.

La Produzione del Miele

LA SMIELATURA (parte 2)

di Mauro Puppo

“Centrifughiamo i telai del melario”

Video della centrifugazione dei telai del melario per l’estrazione del miele contenuto negli opercoli tramite centrifugatore radiale.

Lavori a gennaio 

di Mauro Puppo

Il mese di gennaio è il pieno dell’inverno, con temperature rigide ( o perlomeno così dovrebbe) e giornate brevi . Anche se, in questo periodo, l’attività dell’apicoltore è notevolmente ridotta, ci sono alcuni lavori di manutenzione e controllo che possono garantire la salute della colonia per la primavera successiva. In questo mese le api riducono al minimo la loro attività, rimanendo all’interno dell’alveare per mantenere il calore, ma il loro benessere e la loro sopravvivenza dipendono in gran parte dalla preparazione effettuata dall’apicoltore nei mesi precedenti. 

1. Controllare le riserve di cibo
Le api, durante l’inverno, si nutrono delle riserve di miele e polline accumulate nei mesi precedenti, perciò bisogna verificare che abbiano ancora sufficienti scorte di cibo. Il gruppo compatto che formano le api in inverno “glomere” si sposta lentamente all’interno dell’alveare per trovare il miele. È di fondamentale importanza che queste scorte non si esauriscano prima della primavera.
Basta sollevare leggermente l’alveare dalla parte posteriore per verificare se il peso è ancora sufficiente o se sta diminuendo pericolosamente segno che le riserve di cibo si stanno riducendo velocemente.
In questo caso è necessario intervenire fornendo loro del candito. 

2. Controllare gli alveari dall’esterno
Con le temperature rigide è sconsigliato aprire l’alveare troppo spesso o per periodi prolungati, poiché il freddo, penetrando nell’alveare, obbliga le api ad un lavoro supplementare per mantenere il calore, quindi è essenziale fare controlli periodici dall’esterno per verificare che le coperture siano al loro posto e non ci siano fessure o spifferi che possano far entrare freddo o umidità, che gli alveari siano ben riparati dal vento e dall’acqua, che i pesi sui coperchi risultino al loro posto.

3. Ridurre l’umidità all’interno dell’alveare

L’eventuale  neve ed il freddo sono ben tollerati dalle api, ma l’umidità è uno dei nemici principali. L’eccessiva condensa e umidità all’interno dell’alveare possono provocare malattie ed indebolire la colonia.
Verificare che l’aria possa circolare correttamente nell’alveare senza creare correnti fredde, i fondi a rete sono un ottimo supporto. 

4. Controllare eventuali intrusioni di parassiti o predatori
Nei mesi invernali, topolini ed altri piccoli animali possono cercare rifugio e cibo negli alveari, è essenziale verificare che non ci siano segni di intrusioni. Se non già fatto precedentemente posizioniamo le porticine metalliche (dalla parte con meno buchi) all’ingresso dell’alveare. Questi dispositivi impediscono agli intrusi di entrare nell’alveare ma lasciano passare facilmente le api.
5. Preparazione per la primavera
Se gennaio è un mese tranquillo per le api,  per l’apicoltore è fondamentale approfittare di questo periodo di relativa calma per pianificare la prossima stagione produttiva  per ottenere una produzione ottimale di miele e garantire la salute delle colonie.
Valutare quali colonie potrebbero aver bisogno di nuove regine, riparare o sostituire eventuali parti danneggiate delle arnie,  pulire gli strumenti utilizzati, riordinare il laboratorio, fondere la cera degli opercoli e preparare i fogli cerei, procurarsi nuovo materiale, come favi, melari o attrezzature,  se necessari. 
6. Osservare l’attività di volo nei giorni miti
Durante le giornate più miti di gennaio, quando la temperatura supera i 10-12°C, è possibile che le api effettuino dei voli di purificazione. In questi momenti, possiamo fare alcune osservazioni sull’attività della colonia.
Se notiamo una discreta attività di volo, è segno che la colonia è attiva e sana. Se invece non vediamo movimento durante le giornate più calde, potrebbe essere il segnale di qualche problema, in questo caso è necessario controllare più approfonditamente l’alveare.

Conclusioni
Le attività svolte dal’apicoltore in questo periodo sono fondamentali per la sopravvivenza e il benessere delle colonie. Tutti i controlli menzionati precedentemente possono fare la differenza tra un alveare forte in primavera e una colonia debole o addirittura morta. Prendersi cura degli alveari è la chiave per garantire, con l’arrivo della bella stagione, una ripresa vigorosa delle nostre amate api .

Anagrafe apistica – Denuncia degli apiari

di: Giuseppe Bianco

Anagrafe apistica – Denuncia degli apiari

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La giunta regionale della Liguria, con delibera n. 265 del 1 aprile 2016, ha stabilito che per quanto riguarda la denuncia obbligatoria di detenzione degli alveari, in capo ai proprietari o detentori di apiari di qualsiasi tipo, stanziali o nomadi, prevista dall’art. 10 della L.R. n.36/1984, la stessa è assolta con l’adempimento degli obblighi previsti per la registrazione/aggiornamento della Banca Dati Apistica Nazionale istituita con il decreto del Ministero della Salute dell’11 agosto 2014.

Dal 2014, l’apicoltore effettua quindi l’iscrizione al solo registro nazionale, non è pertanto più necessaria la denuncia alla Regione Liguria.

L’Anagrafe apistica nazionale è una banca dati dove sono registrati tutti gli apicoltori, amatoriali o professionali, e tutti gli alveari allevati, come già avviene in molti altri comparti della zootecnia. Ad ogni apicoltore viene assegnato un codice identificativo che è univoco, ovvero indipendente dalla collocazione dei diversi apiari.
Secondo quanto previsto dal manuale operativo della Banca Dati Apistica BDA, gli apicoltori interessati possono registrarsi autonomamente e fare tutte le operazioni previste, di seguito descritte, direttamente, o con l’aiuto di alcuni soggetti da loro delegati per iscritto, ad esempio le associazioni degli apicoltori.

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Per accedere al portale telematico della BDA sono necessarie credenziali digitali certificate quali: lo SPID, la Carta Nazionale dei Servizi (CNS) o la Carta d’Identità Elettronica.

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Con l’approvazione del Manuale operativo per la gestione dell’anagrafe apistica nazionale, è stata uniformata la caratteristica del cartello identificativo che, quindi, diventa obbligatorio in ogni apiario. 

Il cartello che riporta il codice identificativo univoco dell’apicoltore deve essere di materiale resistente agli agenti atmosferici e non deteriorabile nel tempo, deve avere dimensioni minime equivalenti al formato A4 e con il colore del fondo bianco; i caratteri della scritta devono essere di colore nero e di altezza minima di 4 centimetri, stampati o scritti con inchiostro o vernice indelebile.

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Secondo le previsioni dell’attuale normativa, gli adempimenti di un apicoltore sono:

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  • comunicare l’inizio della propria attività;
  • registrare la consistenza dei propri apiari e la loro collocazione;
  • aggiornare tra il 1° Novembre e il 31 Dicembre di ogni anno la consistenza e la collocazione dei propri alveari;
  • comunicare l’eventuale cessazione o interruzione dell’attività;
  • comunicare le informazioni relative alle movimentazioni di alveari, non solo a fini produttivi ma anche per la compravendita di alveari, sciami, nuclei, pacchi d’ape, regine.

Il censimento annuale è elemento essenziale per poter accedere alle sovvenzioni regionali.

La legge n.154 del 28 luglio 2016, all’art. 34 prevede le sanzioni per chi contravviene all’obbligo di denunzia della detenzione di alveari presso le ASL competenti e di conseguenza determina il mancato aggiornamento della Banca Dati dell’anagrafe apistica nazionale; la sanzione amministrativa pecuniaria va da 1.000 a 4.000 euro.

Ulteriori informazioni sulle modalità di denuncia possono essere richieste all’indirizzo mail: anagrafeapistica@apilandia.it o rivolgendosi ai tecnici Apilandia.

NOTE: Manuale operativo scaricabile direttamente qui sotto: