La cristallizzazione del miele

di Mauro Puppo

La cristallizzazione, assieme al colore, è una delle caratteristiche maggiormente visibile nel miele, questo condiziona, anche se in maniera sempre minore, molti consumatori ed il mercato del miele.
Tutti i mieli sono più o meno destinati a cristallizzare (eccetto acacia, castagno e melata, se in purezza). Una cristallizzazione dunque naturale che se non accompagnata da difetti del miele, quali separazione fra stato liquido e solido, che alcune volte si vede sugli scaffali dei supermercati, fermentazione o presenza di impurità, è la prova della sua genuinità, naturalezza e autenticità e dell’assenza di trattamenti volti a riportare il miele allo stato liquido.

Il processo di cristallizzazione
Quasi tutti i mieli sono liquidi al momento dell’estrazione, fatta eccezione per alcuni mieli, per esempio l’edera, che inizia a cristallizzare già sui favi e risulta di difficile estrazione, dunque liquido che poi, nella maggior parte dei casi, in un tempo variabile da poche settimane ad alcuni mesi, va incontro al processo naturale della cristallizzazione.
Un processo che non comporta variazioni nel prodotto se non nell’ aspetto, che si sviluppa in modo variabile a seconda della composizione, e quindi dell’origine botanica, della temperatura di conservazione e di altri fattori di tipo meccanico e fisico.
Una volta cristallizzato il miele si presenta con caratteristiche diverse a seconda di come si sono combinati tali fattori. Esistono per questo mieli con aspetto più o meno omogeneo, a cristalli grossolani o finissimi, a consistenza compatta o cremosa.
Queste diversità possono segnalare l’origine e la storia del prodotto, ma non possono, data la complessità del fenomeno, essere prese come riferimento assoluto per identificare la genuinità o meno del miele.

Perché il miele cristallizza?
Quali sono i fattori che innescano il processo di cristallizzazione?
Primo fra tutti il rapporto tra glucosio e fruttosio.

Regola fondamentale: maggiore il contenuto di glucosio, maggiore la tendenza a cristallizzare.

Come sappiamo il miele ricavato dal nettare dei fiori è costituito da circa un 18% di acqua in cui sono disciolti il 70% circa di zuccheri monosaccaridi (fruttosio e glucosio) in percentuali variabili.
Il miele è quindi una soluzione sovrassatura di zuccheri, ossia una soluzione in cui la concentrazione del soluto (zuccheri) supera quella che il solvente (acqua) può contenere alle condizioni di equilibrio e che come tale è instabile e tende con il tempo a raggiungere la stabilità liberando il soluto in eccesso sotto forma di cristalli. Essendo il glucosio meno solubile in acqua del fruttosio è quindi lo zucchero maggiormente interessato al processo di cristallizzazione.
Mentre il contenuto di glucosio influenza la tendenza a cristallizzare, il rapporto fra fruttosio e glucosio influenza la velocità di cristallizzazione.
Se il fruttosio predomina sul glucosio il miele tenderà a rallentare il processo di cristallizzazione restando a liquido più a lungo.
Mieli con elevate percentuali di fruttosio cristallizzano lentamente o non cristallizzano affatto come ad esempio accade per il miele di Robinia (Acacia) o di castagno. Al contrario, mieli nei quali la percentuale di glucosio è più alta, quali agrumi, tarassaco, girasole, erica e millefiori, avranno rapidi fenomeni di cristallizzazione.
Altro fattore influenzante è il contenuto di acqua, un miele in condizioni ottimali dovrebbe avere un umidità compresa tra 17-19%, umidità inferiori portano alla cristallizzazione in combinazione con temperature attorno ai 14° C, umidità superiori ad una possibile fermentazione.
Altro fattore importante è la temperatura: a 14 gradi la formazione dei cristalli è massima, sopra a 25 e sotto a 5 gradi è inibita.

Non è quindi da trascurare l’influenza fondamentale che la temperatura ha sulla cristallizzazione. La cristallizzazione può avvenire a temperature comprese fra i 5 ed i 25 °C con un massimo di velocità attorno ai 14 °C. Le basse temperature ostacolano la cristallizzazione perché aumentano la viscosità del miele, rendono più difficili i movimenti all’interno della massa e rallentano i processi chimici di accrescimento dei cristalli.
Dunque, uno stesso miele, conservato a temperature diverse può avere una cristallizzazione diversa.
Temperature troppo elevate invece rallentano il processo in quanto vengono distrutti i cristalli. Tale distruzione è completa alla temperatura di 78 °C, ma già ad una temperatura superiore ai 45° C perderà anche preziosi micronutrienti (maggiori perdite si avranno per temperature più alte e maggiori tempi di riscaldamento).
Altri fattori che favoriscono la cristallizzazione sono l’agitazione del miele e il contenuto di particelle solide in sospensione.

Nella tabella sottostante alcuni tipi di cristallizzazione dei comuni mieli:

Metodi per mantenere liquido il miele.
Come abbiamo detto la cristallizzazione non è un fenomeno negativo ma rappresenta una evoluzione naturale di quasi tutti i mieli.
Ma allora perché il miele che troviamo in commercio è quasi sempre liquido?
La risposta a questa domanda è molto semplice: perché siamo noi consumatori a chiederlo…
Di conseguenza alcuni produttori al solo scopo di “accontentare” il consumatore sostengono che il miele sia sempre liquido, un po’ come lo “accontentano” proponendo prodotti fuori stagione, quali la frutta e le verdure. Ricorrono quindi a processi industriali per mantenere il prodotto in tale stato.
Per mantenere il miele allo stato liquido si può agire in tre modi, che contrastano comunque con la filosofia del prodotto naturale.

Fusione a 40-50 gradi prima della vendita: di solito avviene direttamente nel miele confezionato, consente di mantenere il miele liquido più o meno a lungo a seconda della quantità di glucosio e di acqua del miele stesso.
Pastorizzazione: il miele viene portato a 78 gradi per 5-7 minuti, in questo modo si sciolgono anche le particelle più piccole di glucosio e il miele rimane liquido per lunghissimo tempo.
Filtrazione spinta: conferisce al miele una maggior limpidezza ed elimina le micro particelle che potrebbero innescare la formazione dei cristalli. Tale modalità viene abitualmente utilizzata negli Stati Uniti mentre in Europa era vietata fino all’uscita della direttiva 2001/110/CE. Ora è consentita anche se va chiaramente riportato in etichetta l’utilizzo di questa tecnologia. Tale processo permette anche di omogeneizzare il miele, i cristalli grossi, vengono rotti per azione meccanica e il miele diventa più cremoso.
Fusione e pastorizzazione non hanno alcuno scopo igienico-sanitario e danneggiano irreparabilmente il prodotto, distruggendone la carica enzimatica e vitaminica a discapito della naturalezza e della qualità del prodotto.

Miele liquido e miele cristallizzato.

Che differenze ci sono? Meglio il miele liquido o quello cristallizzato?
La scelta tra liquido e cristallizzato è una questione di preferenze personali; se però si vogliono privilegiare i prodotti più integri bisogna considerare che ogni riscaldamento subito è un danno per la qualità del prodotto.
Per la loro composizione come detto, solo i mieli di acacia, castagno e di miele di bosco o abete (melate) rimangono sempre liquidi, mentre con il passare del tempo, invece, tutti gli altri tipi di miele tendono a cristallizzare.

Consigli: cosa fare quando il miele si presenta cristallizzato?
Il primo consiglio che possiamo darvi è quello di consumarlo così ma se vogliamo per forza renderlo liquido è di “non cuocere il miele”.
Si può certamente riscaldarlo, anche a bagno maria, non superando i 35/40 gradi per alcuni minuti o più semplicemente tenendolo per qualche minuto fra le mani e rimescolandolo con un cucchiaio, o ponendolo per pochi minuti a contatto con una fonte di calore come un termosifone o vicino un camino.
In alternativa basta metterlo in freezer quando è ancora liquido, per bloccare la precipitazione dei cristalli.  

Conclusioni:
Miele liquido o cristallizzato?
Possiamo solo dire che la cristallizzazione è un processo naturale che non comporta assolutamente variazioni organolettiche del prodotto ma solo di aspetto, che ne garantisce la qualità, la genuinità e l’assoluta naturalezza, come garanzia di un prodotto non pastorizzato, sano come in natura si forma.
Impariamo a consumarlo cosi com’è.
Pensiamo anche al lato positivo del miele cristallizzato: il miele non cola e potete usarlo con più facilità.
Se un miele è di qualità non c’è differenza tra un miele liquido o un miele cristallizzato se non nell’aspetto. Sono entrambi ottimi.
Per concludere speriamo che queste poche righe relative alla cristallizzazione del miele possano essere state di aiuto nella scelta del miele durante il prossimo acquisto.

Arnia a Favo Caldo o a Favo Freddo? Guida completa alla scelta

di Giorgio Pagnacco

Arnia a Favo Caldo o a Favo Freddo?

Quando si parla di apicoltura, uno dei temi più discussi riguarda la disposizione dei favi all’interno dell’arnia: meglio il favo caldo o il favo freddo? La differenza può sembrare puramente geometrica, ma in realtà ha conseguenze importanti sul microclima interno, sull’organizzazione delle api e sul lavoro dell’apicoltore. In questo articolo analizziamo vantaggi, svantaggi e persino la possibilità di un sistema ibrido.


Cosa significa “favo caldo” e “favo freddo”?

  • Favo caldo: i telaini sono disposti parallelamente all’ingresso dell’arnia. Le api entrano dal lato lungo e accedono direttamente ai favi.
  • Favo freddo: i telaini sono disposti perpendicolarmente all’ingresso. Le api entrano dal lato corto e si muovono lungo i favi.

Questa semplice differenza influenza il flusso d’aria, la propolizzazione, la gestione della covata e l’interazione con l’apicoltore.

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Arnia a favo caldo: vantaggi e svantaggi

Vantaggi

  • Facilità di ispezione: l’apicoltore accede ai telaini senza disturbare tutta la colonia.
  • Protezione dal freddo: il flusso d’aria è ridotto, le correnti fredde entrano con più difficoltà.
  • Isolamento naturale: le api sigillano meglio eventuali fessure con la propoli, migliorando l’isolamento.

Svantaggi

  • Ventilazione ridotta: in estate aumenta il rischio di surriscaldamento e umidità.
  • Maggior consumo energetico: le api devono lavorare di più per regolare il microclima.
  • Minor adattabilità ai climi caldi: soffre in zone con estati molto torride.

Arnia a favo freddo: vantaggi e svantaggi

Vantaggi

  • Migliore ventilazione naturale: favorisce il ricambio d’aria e riduce l’umidità.
  • Ottima nei climi caldi: le api gestiscono meglio il raffrescamento estivo.
  • Distribuzione più uniforme: miele e covata seguono meglio il flusso d’aria naturale.

Svantaggi

  • Maggiore esposizione al freddo: in inverno le correnti penetrano più facilmente lungo i favi.
  • Ispezioni più invasive: per raggiungere i telaini centrali bisogna spostare i primi, disturbando la colonia.
  • Accumulo di propoli: le api possono sigillare eccessivamente, rendendo più difficile il lavoro.

Quando preferire una o l’altra configurazione?

  • Favo caldo: se vivi in aree con inverni rigidi o ventosi, se cerchi ispezioni rapide e poco invasive, se la protezione dal freddo è una priorità.
  • Favo freddo: se operi in zone calde e umide, se vuoi favorire la ventilazione naturale, se l’estate è il periodo più critico da gestire.

Il sistema ibrido: una soluzione possibile?

Alcuni apicoltori si chiedono: perché non usare il favo caldo in inverno e il favo freddo in estate?
Un sistema ibrido è teoricamente possibile, ma comporta sfide pratiche:

  • Vantaggi: sfrutta i punti di forza stagionali, ottimizzando isolamento in inverno e ventilazione in estate.
  • Svantaggi: disturbare la colonia con spostamenti stagionali dei telaini può disorientare le api e aumentare lo stress. Inoltre, la propolizzazione verrebbe rifatta ogni volta, con spreco di risorse.

Alcune soluzioni pratiche includono arnie modulari che permettono di ruotare il corpo senza spostare i telaini, oppure piccoli adattamenti stagionali (pannelli isolanti in inverno, aperture supplementari in estate).


Conclusione

Non esiste una scelta universalmente giusta tra favo caldo e favo freddo: la decisione dipende dal clima della tua zona, dalle caratteristiche della colonia e dal tuo stile di gestione.
Il vero segreto è conoscere bene i pro e i contro di entrambe le configurazioni e adattare l’arnia al contesto, con l’obiettivo sempre prioritario del benessere delle api.

La Produzione del Miele

LA SMIELATURA (parte 3)

di Mauro Puppo

“Filtraggio del miele destinato al maturatore”

Video del filtraggio del miele che dopo essere estratto per centrifugazione viene raccolto nel maturatore.

La Produzione del Miele

LA SMIELATURA (parte 2)

di Mauro Puppo

“Centrifughiamo i telai del melario”

Video della centrifugazione dei telai del melario per l’estrazione del miele contenuto negli opercoli tramite centrifugatore radiale.

Lavori a gennaio 

di Mauro Puppo

Il mese di gennaio è il pieno dell’inverno, con temperature rigide ( o perlomeno così dovrebbe) e giornate brevi . Anche se, in questo periodo, l’attività dell’apicoltore è notevolmente ridotta, ci sono alcuni lavori di manutenzione e controllo che possono garantire la salute della colonia per la primavera successiva. In questo mese le api riducono al minimo la loro attività, rimanendo all’interno dell’alveare per mantenere il calore, ma il loro benessere e la loro sopravvivenza dipendono in gran parte dalla preparazione effettuata dall’apicoltore nei mesi precedenti. 

1. Controllare le riserve di cibo
Le api, durante l’inverno, si nutrono delle riserve di miele e polline accumulate nei mesi precedenti, perciò bisogna verificare che abbiano ancora sufficienti scorte di cibo. Il gruppo compatto che formano le api in inverno “glomere” si sposta lentamente all’interno dell’alveare per trovare il miele. È di fondamentale importanza che queste scorte non si esauriscano prima della primavera.
Basta sollevare leggermente l’alveare dalla parte posteriore per verificare se il peso è ancora sufficiente o se sta diminuendo pericolosamente segno che le riserve di cibo si stanno riducendo velocemente.
In questo caso è necessario intervenire fornendo loro del candito. 

2. Controllare gli alveari dall’esterno
Con le temperature rigide è sconsigliato aprire l’alveare troppo spesso o per periodi prolungati, poiché il freddo, penetrando nell’alveare, obbliga le api ad un lavoro supplementare per mantenere il calore, quindi è essenziale fare controlli periodici dall’esterno per verificare che le coperture siano al loro posto e non ci siano fessure o spifferi che possano far entrare freddo o umidità, che gli alveari siano ben riparati dal vento e dall’acqua, che i pesi sui coperchi risultino al loro posto.

3. Ridurre l’umidità all’interno dell’alveare

L’eventuale  neve ed il freddo sono ben tollerati dalle api, ma l’umidità è uno dei nemici principali. L’eccessiva condensa e umidità all’interno dell’alveare possono provocare malattie ed indebolire la colonia.
Verificare che l’aria possa circolare correttamente nell’alveare senza creare correnti fredde, i fondi a rete sono un ottimo supporto. 

4. Controllare eventuali intrusioni di parassiti o predatori
Nei mesi invernali, topolini ed altri piccoli animali possono cercare rifugio e cibo negli alveari, è essenziale verificare che non ci siano segni di intrusioni. Se non già fatto precedentemente posizioniamo le porticine metalliche (dalla parte con meno buchi) all’ingresso dell’alveare. Questi dispositivi impediscono agli intrusi di entrare nell’alveare ma lasciano passare facilmente le api.
5. Preparazione per la primavera
Se gennaio è un mese tranquillo per le api,  per l’apicoltore è fondamentale approfittare di questo periodo di relativa calma per pianificare la prossima stagione produttiva  per ottenere una produzione ottimale di miele e garantire la salute delle colonie.
Valutare quali colonie potrebbero aver bisogno di nuove regine, riparare o sostituire eventuali parti danneggiate delle arnie,  pulire gli strumenti utilizzati, riordinare il laboratorio, fondere la cera degli opercoli e preparare i fogli cerei, procurarsi nuovo materiale, come favi, melari o attrezzature,  se necessari. 
6. Osservare l’attività di volo nei giorni miti
Durante le giornate più miti di gennaio, quando la temperatura supera i 10-12°C, è possibile che le api effettuino dei voli di purificazione. In questi momenti, possiamo fare alcune osservazioni sull’attività della colonia.
Se notiamo una discreta attività di volo, è segno che la colonia è attiva e sana. Se invece non vediamo movimento durante le giornate più calde, potrebbe essere il segnale di qualche problema, in questo caso è necessario controllare più approfonditamente l’alveare.

Conclusioni
Le attività svolte dal’apicoltore in questo periodo sono fondamentali per la sopravvivenza e il benessere delle colonie. Tutti i controlli menzionati precedentemente possono fare la differenza tra un alveare forte in primavera e una colonia debole o addirittura morta. Prendersi cura degli alveari è la chiave per garantire, con l’arrivo della bella stagione, una ripresa vigorosa delle nostre amate api .

Anagrafe apistica – Denuncia degli apiari

di: Giuseppe Bianco

Anagrafe apistica – Denuncia degli apiari

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La giunta regionale della Liguria, con delibera n. 265 del 1 aprile 2016, ha stabilito che per quanto riguarda la denuncia obbligatoria di detenzione degli alveari, in capo ai proprietari o detentori di apiari di qualsiasi tipo, stanziali o nomadi, prevista dall’art. 10 della L.R. n.36/1984, la stessa è assolta con l’adempimento degli obblighi previsti per la registrazione/aggiornamento della Banca Dati Apistica Nazionale istituita con il decreto del Ministero della Salute dell’11 agosto 2014.

Dal 2014, l’apicoltore effettua quindi l’iscrizione al solo registro nazionale, non è pertanto più necessaria la denuncia alla Regione Liguria.

L’Anagrafe apistica nazionale è una banca dati dove sono registrati tutti gli apicoltori, amatoriali o professionali, e tutti gli alveari allevati, come già avviene in molti altri comparti della zootecnia. Ad ogni apicoltore viene assegnato un codice identificativo che è univoco, ovvero indipendente dalla collocazione dei diversi apiari.
Secondo quanto previsto dal manuale operativo della Banca Dati Apistica BDA, gli apicoltori interessati possono registrarsi autonomamente e fare tutte le operazioni previste, di seguito descritte, direttamente, o con l’aiuto di alcuni soggetti da loro delegati per iscritto, ad esempio le associazioni degli apicoltori.

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Per accedere al portale telematico della BDA sono necessarie credenziali digitali certificate quali: lo SPID, la Carta Nazionale dei Servizi (CNS) o la Carta d’Identità Elettronica.

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Con l’approvazione del Manuale operativo per la gestione dell’anagrafe apistica nazionale, è stata uniformata la caratteristica del cartello identificativo che, quindi, diventa obbligatorio in ogni apiario. 

Il cartello che riporta il codice identificativo univoco dell’apicoltore deve essere di materiale resistente agli agenti atmosferici e non deteriorabile nel tempo, deve avere dimensioni minime equivalenti al formato A4 e con il colore del fondo bianco; i caratteri della scritta devono essere di colore nero e di altezza minima di 4 centimetri, stampati o scritti con inchiostro o vernice indelebile.

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Secondo le previsioni dell’attuale normativa, gli adempimenti di un apicoltore sono:

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  • comunicare l’inizio della propria attività;
  • registrare la consistenza dei propri apiari e la loro collocazione;
  • aggiornare tra il 1° Novembre e il 31 Dicembre di ogni anno la consistenza e la collocazione dei propri alveari;
  • comunicare l’eventuale cessazione o interruzione dell’attività;
  • comunicare le informazioni relative alle movimentazioni di alveari, non solo a fini produttivi ma anche per la compravendita di alveari, sciami, nuclei, pacchi d’ape, regine.

Il censimento annuale è elemento essenziale per poter accedere alle sovvenzioni regionali.

La legge n.154 del 28 luglio 2016, all’art. 34 prevede le sanzioni per chi contravviene all’obbligo di denunzia della detenzione di alveari presso le ASL competenti e di conseguenza determina il mancato aggiornamento della Banca Dati dell’anagrafe apistica nazionale; la sanzione amministrativa pecuniaria va da 1.000 a 4.000 euro.

Ulteriori informazioni sulle modalità di denuncia possono essere richieste all’indirizzo mail: anagrafeapistica@apilandia.it o rivolgendosi ai tecnici Apilandia.

NOTE: Manuale operativo scaricabile direttamente qui sotto:

La Tarma della cera: Un pericolo per gli alveari e come contrastarla

di Giorgio Pagnacco

La tarma della cera, nota scientificamente come Galleria mellonella, è un insetto le cui larve possono causare gravi danni agli alveari. Questo articolo esplorerà in dettaglio cos’è la tarma della cera, i danni che può arrecare e come gli apicoltori possono affrontare questa minaccia con rimedi naturali e farmacologici.

Cos’è la Tarma della Cera?

La tarma della cera è un lepidottero appartenente alla famiglia dei Pyralidae. Le larve, che sono la forma dannosa dell’insetto, si nutrono della cera delle celle e delle riserve di miele, danneggiando la struttura degli alveari. Gli adulti, invece, sono farfalle di piccole dimensioni che non arrecano danno diretto; è la fase larvale che rappresenta la vera minaccia per le colonie di api.

Danni della Tarma della Cera agli Alveari

1. Degrado della Cera

Le larve della tarma si nutrono voracemente della cera che compone i favi, creando tunnel e gallerie. Questo degrado compromette la struttura stessa dell’alveare, rendendo i favi fragili e meno funzionali. Un favo danneggiato non è in grado di sostenere adeguatamente le uova, il miele e il polline, influenzando la capacità di riproduzione delle api.

2. Perdita di Miele e Polline

Oltre alla cera, le larve si nutrono anche del miele e del polline presenti nei favi. La loro presenza può ridurre drasticamente le riserve alimentari, lasciando le api senza cibo durante periodi critici, come l’inverno o in caso di fioriture scarse.

3. Compromissione della Salute delle Api

Le larve della tarma possono danneggiare le larve di api in crescita, riducendo la popolazione della colonia. Inoltre, le aree infestati possono diventare terreno fertile per patogeni e malattie, aggravando ulteriormente la salute delle api.

4. Comportamento Stressato delle Api

La presenza di tarme può generare stress tra le api, che si comportano in modo più irrequieto e meno produttivo. Un’alveare stressato è meno efficiente nella raccolta di nettare e polline, influenzando la produzione di miele.

5. Diminuzione della Produttività

Un alveare infestato dalla tarma avrà una ridotta capacità di produzione di miele, con conseguente diminuzione del rendimento per l’apicoltore. Questo può portare a perdite economiche significative.

Quando Attacca la Tarma della Cera?

La tarma della cera è particolarmente attiva in estate e all’inizio dell’autunno, quando le colonie sono più numerose e c’è abbondanza di cibo. Durante questi periodi, le condizioni ambientali favoriscono la riproduzione e la proliferazione delle larve.

Perché Alcuni Alveari Sono Attaccati e Altri No?

1. Condizioni Ambientali

Alcuni alveari sono più esposti a condizioni favorevoli per la riproduzione della tarma. Un ambiente umido e caldo può favorire la proliferazione delle larve, mentre un alveare ben ventilato e asciutto può dissuaderle. I favi più colpiti sono quelli in cui vi è stata covata e polline.

2. Igiene dell’Alveare

Alveari poco curati, con favi vecchi e residui di cibo, sono più suscettibili all’infestazione. La pulizia regolare e la sostituzione dei favi deteriorati possono ridurre significativamente il rischio di attacchi.

3. Forza della Colonia

Colonie forti e ben sviluppate sono in grado di difendersi meglio dalle infestazioni. Al contrario, alveari deboli, a causa di malattie o scarsa nutrizione, possono essere più vulnerabili.

Come Contrastare la Tarma della Cera

Rimedi Naturali

  1. Controllo Ambientale: Mantenere gli alveari in buone condizioni e puliti è fondamentale. Rimuovere i favi vecchi e danneggiati può ridurre la proliferazione delle tarme.
  2. Uso di Trappole: Le trappole per adulti possono aiutare a monitorare e ridurre la popolazione di tarme. È possibile realizzarle utilizzando feromoni per attirare i maschi.
  3. Infusi di Piante Repellenti: Alcune piante, come il rosmarino e la lavanda, possono avere proprietà repellenti. Spruzzare infusi di queste piante all’interno dell’arnia può aiutare a tenere lontane le larve.

Rimedi Farmacologici

Se i rimedi naturali non sono sufficienti, esistono diverse opzioni farmacologiche:

  1. Bacillus thuringiensis (Bt): Questo batterio, utilizzato come insetticida biologico, può essere efficace contro le larve di tarma. È importante applicarlo in modo mirato, seguendo le indicazioni del produttore.
  2. Trattamento con lo zolfo:  utilizzato tramite bruciatura, lo zolfo sviluppa anidride solforosa la quale ha efficacia sia come insetticida che fungicida biologico. 

Tecnica di Bruciatura dello Zolfo

1. Preparazione della Camera Stagna

La prima fase consiste nella preparazione di un ambiente chiuso e sigillato in cui si può controllare la diffusione dei fumi di zolfo. Ecco i passaggi chiave:

  • Rimozione dei Melari: Dopo la smielatura, i melari e i telaini devono essere rimossi dall’alveare. È importante assicurarsi che non ci siano api all’interno dei melari.
  • Scelta della Camera: Può essere utilizzata una camera stagna, come un contenitore di plastica o una cassa di legno con coperchio. Deve essere sufficientemente grande da contenere i melari e consentire la diffusione dei fumi oppure impilare i melari uno sull’altro.
  • Sigillatura: È fondamentale sigillare bene la camera per evitare che i fumi di zolfo escano e per garantire una buona concentrazione delle sostanze attive.

2. Bruciatura dello Zolfo

Una volta che la camera è pronta, si procede con la bruciatura dello zolfo:

  • Posizionamento dello Zolfo: Posizionare piccole quantità di zolfo all’interno della camera. La quantità può variare, ma di solito si utilizzano circa 50-100 grammi per ogni melario, in commercio esistono dischi di zolfo generalmente usati in enologia .
  • Accensione: Accendere lo zolfo in modo controllato, utilizzando una fonte di calore (ad esempio, un accendino o un fiammifero). Una volta acceso, lo zolfo comincerà a bruciare, producendo fumi densi.
  • Chiusura della Camera: Chiudere immediatamente la camera dopo l’accensione per trattenere i fumi all’interno. Lasciare il contenitore chiuso per alcune ore (di solito da 4 a 12 ore), a seconda delle istruzioni del prodotto utilizzato.

3. Ventilazione

Dopo il periodo di esposizione, aprire la camera in un ambiente ben ventilato per disperdere i fumi residui. È importante lasciare i melari all’aria aperta per un po’ di tempo prima di riporli nuovamente nell’alveare.

Efficacia della Tecnica

La bruciatura dello zolfo è efficace perché i fumi di zolfo hanno proprietà insetticide e fungicide. Questi fumi penetrano nei telaini e uccidono le larve e le uova della tarma della cera, riducendo significativamente la popolazione di questi parassiti.

Vantaggi e Considerazioni

Vantaggi

  • Efficacia: Può essere molto efficace nel ridurre le infestazioni di tarma.
  • Economico: L’utilizzo di zolfo è relativamente economico rispetto ad altri trattamenti chimici.
  • Nessun residuo chimico: Non lascia residui tossici sui telaini, purché il processo venga eseguito correttamente.

Considerazioni

  • Sicurezza: Lo zolfo è una sostanza chimica e deve essere maneggiato con cautela. È importante indossare dispositivi di protezione, come guanti e mascherine, durante la manipolazione.
  • Non respirare assolutamente i fumi della bruciatura sono altamente tossici in quanto si tratta di anidride solforosa e anidride solforica che se inalata viene a contatto con l’acqua delle mucose nasali e della saliva si trasforma in acido solforico creando gravi irritazioni alle vie respiratorie, occhi e corrosioni alle mucose polmonari danneggiandole con l’alto rischio di  edema polmonare.
  • Attenzione alle api: Assicurarsi che nessuna ape si trovi nella camera durante il trattamento.
  • Temperatura e umidità: Le condizioni ambientali possono influenzare l’efficacia del trattamento. È meglio effettuare l’operazione in giornate asciutte e calde.

Come Funziona il Bacillus thuringiensis

1. Meccanismo d’Azione

Il Bacillus thuringiensis produce delle tossine proteiche (endotossine) che sono innocue per gli organismi adulti ma letali per le larve di molti insetti. Quando le larve della tarma della cera ingeriscono queste tossine, queste si attaccano alle pareti intestinali degli insetti, provocando danni cellulari e, infine, la morte dell’insetto.

2. Selettività

Una delle caratteristiche principali del Bt è la sua selettività. Le tossine agiscono specificamente su certe specie di insetti e non danneggiano le api o altri organismi utili, il che lo rende un’opzione preferibile per gli apicoltori.

Come Utilizzare il Bacillus thuringiensis

1. Scelta del Prodotto

Esistono diverse formulazioni di Bt, alcune delle quali sono specificamente formulate per il controllo della tarma della cera (B403). Assicurati di scegliere un prodotto etichettato per questo uso.

2. Applicazione

  • Tempistica: È più efficace applicare il Bt quando le larve della tarma sono ancora giovani e più vulnerabili. Questo è solitamente durante l’estate, quando si verifica la massima attività delle tarme.
  • Modalità di Applicazione: Il Bt può essere applicato direttamente sui favi infestati o spruzzato sull’interno dell’arnia. Segui sempre le istruzioni del produttore per la corretta diluizione e applicazione.

3. Condizioni Ambientali

Il Bt è più efficace in condizioni calde e umide, quindi cerca di applicarlo in giornate con queste caratteristiche. Evita di applicarlo in giornate molto ventose o sotto la pioggia, poiché questo può ridurre l’efficacia del trattamento. Generalmente si applica ai melari prima dell’immagazzinamento.

4. Monitoraggio

Dopo l’applicazione, è importante monitorare gli alveari per valutare l’efficacia del trattamento. Controlla se ci sono segni di larve morte e verifica la salute generale delle api.

Vantaggi dell’Uso del Bacillus thuringiensis

  • Ecologico: Essendo un insetticida biologico, il Bt è considerato ecologico e meno dannoso per l’ambiente rispetto ad altri pesticidi chimici.
  • Sicuro per le Api: Non presenta rischi diretti per le api adulte, il che è cruciale per la salute della colonia.
  • Efficacia: Se applicato correttamente, può ridurre significativamente le popolazioni di tarma.

Conclusione

La lotta contro la tarma della cera richiede un approccio integrato che combina pratiche preventive e trattamenti mirati. L’uso del Bacillus thuringiensis rappresenta una soluzione biologica efficace, sicura per le api e selettiva nei confronti delle larve, mentre la tecnica di bruciatura dello zolfo offre un metodo tradizionale potente per eliminare infestazioni già presenti. È fondamentale mantenere un ambiente pulito e ben gestito all’interno degli alveari, monitorare costantemente la salute delle colonie e adottare misure di sicurezza durante i trattamenti. Con queste pratiche, gli apicoltori possono proteggere le loro colonie, garantire una produzione di miele sana e sostenibile, e affrontare con successo le sfide poste dalla tarma della cera.

La vespa velutina (o calabrone asiatico)

di Mauro Puppo

La vespa velutina detta anche “calabrone asiatico” è una specie aliena invasiva di origine asiatica.
Giunta in Francia nel 2004 si è rapidamente diffusa fino a raggiungere Belgio, Spagna, Portogallo, Germania e nel 2012 l’Italia. Nel nostro paese è ormai diffusa in tutta la Liguria da ponente a levante, è stata individuata in Piemonte nella provincie di Cuneo, Torino e Alessandria, in Lombardia , Emilia Romagna ,Veneto e Toscana.
Considerata la pericolosità della specie è assolutamente necessario cercare di individuare e distruggere i nidi. Limitare la diffusione di questo insetto può voler significare la salvezza di molti apiari sul suolo nazionale.
Quali sono le differenze morfologiche fra Velutina e Vespa Crabro?

Vespa Crabro
TORACE: bruno rossiccio con parte inferiore più chiara.
ADDOME: con solo i primi due tergiti scuri, mentre i restanti sono di colore giallo con macchie scure
ZAMPE: interamente di colore scuro
PARTE FRONTALE DEL CAPO: colore giallo
ANTENNE: di colore bruno rossiccio.

Vespa velutina nigrithorax
TORACE: colore bruno molto scuro
ZAMPE: brune ma con parte terminale gialla
PARTE FRONTALE DEL CAPO: colore aranciato.
PRIMI TRE TERGITI ADDOMINALI: colore bruno molto scuro
QUARTO TERGITE: è quasi interamente di colore arancione
ANTENNE: di colore bruno scuro.

I Nidi, in cartapesta, vengono costruiti preferibilmente in zone umide con presenza di acqua (torrenti, laghi, cisterne) e di sostanze legnose in marcescenza.
Di solito si trovano tra le fronde degli alberi e a considerevoli altezze (10 metri) e ben nascosti dal fogliame, raramente tra le intercapedini, le cavità degli alberi o in terra.
Sono stati individuati anche a ridosso di abitazioni, sottotetti, fienili, stalle.
Le dimensioni del nido possono essere ragguardevoli, a seconda degli strati di covata sovrapposti; generalmente il nido è di forma sferica, piriforme quando diventa più grande.
In alcuni casi il diametro può superare il metro.
Può riuscire a contenere fino a 15000 – 20000 individui. Massima espansione in agosto -settembre-ottobre
inattivi d’inverno.

Come per la Vespa comune, la colonia non riesce a svernare, solo le regine feconde affrontano l’inverno (vengono fecondate fine estate ed inizio autunno). I maschi vengono allevati nel periodo precedente.
Le giovani regine fecondate superano l’inverno in tronchi, muri ,gallerie del terreno, per poi iniziare a febbraio la costruzione dei nidi. In primavera, la competizione delle regine per i siti di nidificazione ha come conseguenza una notevole mortalità di individui. Da ogni nido possono uscire fino a 200 regine.
La Vespa Velutina mostra aggressività vicino al suo nido, soprattutto in presenza di significativi movimenti umani o rumori forti. Il territorio di caccia si estende prevalentemente a circa 400/500 mt dal nido, non si esclude però che possa raggiungere anche 1km o più..

La dieta del Calabrone asiatico è costituita prevalentemente da api preferendo le bottinatrici di ritorno all’alveare. Nelle aree in cui la vespa è presente è facile vederla in volo statico, a zampe aperte, con le spalle rivolte all’arnia in attesa del ritorno della preda. Nelle zone infestate da più anni si contano oltre 10 individui ad alveare che, in presenza di famiglie deboli, non disdegnano di entrare nel nido per catturare le api.
Come le crabro catturano l’ape, la smembrano vicino all’alveare e portano al nido solo le parti più proteiche
(torace e addome).
Nelle zone più infestate le api cessano il volo e, di conseguenza, la mancanza di importazione di nettare e
polline porta ad un arresto della covata fino a causare la morte della famiglia o grosse difficoltà di svernamento.
In Liguria è stato osservato che 3/5 velutine davanti ad una famiglia in piena attività possono arrivare a catturare un’ape ogni 10 secondi (6 api al minuto).
L’ alimentazione è zuccherina in primavera { Il fabbisogno energetico è soddisfatto soprattutto dalla frutta } e proteica in estate – autunno (api e altri insetti).

Strategia di difesa da parte delle api:
Apis Cerana in Asia ha sviluppato una strategia di difesa molto efficace: forma una palla di api intorno all’aggressore. Muovendo le ali, tutte le api provocano l’aumento della temperatura a 45° provocando l’ipertermia del calabrone che così muore.
Apis Mellifera non riesce a sviluppare abbastanza calore per provocare la morte della vespa, nonostante ciò forma raggruppamenti di api {anche un centinaio} sul predellino che tentano l’avvolgimento del predatore ma, invece di sfruttare la soglia termica letale per la vespa ( in questo caso inefficace) le api impediscono il rilassamento dell’addome provocandone l’asfissia. Purtroppo però, quasi sempre, il
calabrone riesce a liberarsi.
Ciò costringe numerosi individui al ruolo di guardiani, distraendoli dalle altre attività, con mancato apporto
di polline e nettare per la sopravvivenza della colonia.

Come difendere l’apiario?
Con trappole selettive rivolte alle fondatrici da applicare nelle vicinanze dell’apiario e da tenere tutto l’anno. Distruzioni dei nidi prima del mese di agosto/settembre cioè prima che da questi possano partire nuove fondatrici. I calabroni attratti dall’odore del liquido attrattivo (birra da cambiare ogni 10/15 giorni e verificarne il contenuto) entreranno nella bottiglia passando per il collo (porzione più stretta) ma non riusciranno più ad uscirne.
In conclusione per salvare i nostri apiari dobbiamo imparare a convivere con questo predatore cercando di
limitarne i danni con azioni di monitoraggio, trappolaggio, eliminazione (quando possibile ) dei nidi,
solamente così l’apicoltura potrà avere un futuro.

COVATA CALCIFICATA

di Mauro Puppo

Durante i controlli degli alveari possiamo notare sul predellino di volo alcune palline bianche, allungate che
assomigliano a chicchi di riso, non sono palline ma larve morte, siamo in presenza di covata calcificata o ascosphaeriosi dal nome del patogeno, ascosphaera apis, un fungo responsabile di questa micosi che colpisce la covata.
Le spore si insediano e si sviluppano nello stomaco della larva e da questo si diffondono in tutto il corpo.
La morte della larva avviene prima dell’opercolatura o subito dopo, in questo caso le api opercolano le cellette e solo dopo rimuovono la larva morta che inizialmente è di colore bianco e successivamente tende al verde-nero, dura come un gessetto.
Le spore riescono a sopravvivere per lungo tempo anche per diversi anni. Il patogeno si propaga nell’alveare principalmente tramite il lavoro di rimozione delle larve morte da parte delle api che così facendo trasportano involontariamente le spore. Altra fonte di contagio tra alveare e alveare è il saccheggio o l’alimentazione con miele o polline infetto, lo stesso apicoltore può essere fonte di contagio adoperando materiale contaminato ( favi, attrezzi, guanti).
La presenza della malattia è influenzata dalle tecniche apistiche adottate, per esempio l’ubicazione degli alveari in zone poco soleggiate ,umide e con ristagni d’acqua , sbalzi termici, squilibrio tra api nutrici e covata, alimentazioni non corrette, presenza di regine vecchie.
Lo squilibrio tra nutrici e covata, per esempio, lo possiamo constatare all’inizio della primavera dove a causa di abbondante alimentazione liquida si invoglia la regina ad una massiccia deposizione quando c’è il cambio generazionale, quindi un calo di api con conseguente scarsa copertura dei favi e raffreddamento della covata. Anche la scarsa abitudine di stringere le famiglie sui favi effettivamente occupati può portare
al raffreddamento della covata, ricordiamoci che le larve hanno uno sviluppo ottimale quando la temperatura interna dell’alveare si aggira sui 33/35 gradi. Altro stress che possono subire le larve è quando nell’alimentazione non c’è apporto proteico e vitaminico ad inizio stagione o nei mesi più caldi e siccitosi, l’apicoltore deve accertarsi della presenza di polline immagazzinato nei favi e la sua quantità e, se insufficiente, intervenire di conseguenza con alimenti proteici.
Nel caso di forte infestazione ( più del 10% delle celle infette) anche la sostituzione della regina può essere d’aiuto in quanto la sua discendenza potrebbe essere più suscettibile all’infezione.
Nella presenza di covata calcificata la famiglia non riesce a svilupparsi in modo ottimale con conseguente scarso raccolto, è suscettibile ad altre patologie e subisce uno spopolamento che la regina non riesce a rimpiazzare con la nuova covata, tutto questo ormai ci ha portato nei mesi estivi dove il picco di infestazione di varroa può dare il colpo di grazie alla famiglia.
Per combattere la covata calcificata non esiste un prodotto specifico, in commercio ci sono degli integratori alimentari che limitano il propagarsi delle malattie fungine, anche il timolo può essere interessante per migliorare le condizioni igieniche dell’alveare, tenendo anche presente che il principio attivo è usato nei prodotti contro la varroa.
E’ ovvio che tutto il materiale ,arnie comprese, che va a contatto con la covata calcifica va accuratamente disinfettato, in questo caso in commercio si possono trovare dei prodotti adatti allo scopo.